venerdì 4 gennaio 2013

Secondo passo: la concentrazione

La nostra giornata – lavorativa, scolastica o sportiva eccetera. – implica un determinato sforzo mentale. Nella maggior parte dei casi chiamiamo erroneamente questo sforzo “concentrazione”.

In effetti questa non è “concentrazione”, è una forma di reazione del nostro cervello quasi prettamente automatica. È più simile ad una routine entrata a far parte dell’automatismo nel nostro sistema energetico, una pratica che non richiede e non stimola la nostra reale capacità di concentrazione.

Condurre l’auto, per esempio, è un gesto che compiamo automaticamente; la nostra attenzione viene spostata sulle differenti situazioni, ma ogni nostra reazione ai vari “pericoli” è già registrata nella nostra forza di reazione, segue cioè una logica passiva.

A scuola potremmo essere molto attenti a ciò che il professore sta spiegando. Seguiamo parola per parola quello che ci viene insegnato e lo memorizziamo, con facilità o meno. Nella maggior parte dei casi questa situazione è semplicemente un assimilare delle nozioni.

Nel corso di un esame, si spera, siamo invece costretti ad uno sforzo maggiore per riordinare queste nozioni in un ragionamento logico attivato a seconda della necessità.

Questo “sforzo” è già molto più simile alla concentrazione di cui stiamo parlando, ma ancora non è esattamente ciò che si intende.

Come possiamo notare molto chiaramente dall’esempio dell’esame, la concentrazione che qui intendo è quella che non implica semplicemente un ricordo o una azione, eseguita seppure con attenzione ma in modo automatico; questa concentrazione è un insieme di tutte queste cose, gestite da una logica attiva, da un ragionamento, da quella parte di energia, quindi, che prevale sopra le energie grossolane del corpo mentale.

La differenza tra la “concentrazione” che utilizziamo giornalmente in modo automatico e questo tipo di concentrazione, è che quest’ultima è un atto deliberato dalla nostra espressa volontà e non stimolato semplicemente dalla necessità.

Esiste una grandissima differenza tra i pensieri emozionali passivi e quelli attivi: credo che su questa terra siano ben pochi a vivere esclusivamente spinti dai pensieri emozionali attivi; queste persone sono quelle che si distinguono per la loro elevazione, ben al di sopra di quella comune.

Per riuscire a comprendere quanto siamo ingannati dalla nostra credenza di padroneggiare la capacità di concentrazione, basta fare un semplice test che spiego qui di seguito.

Rimanendo rilassati e compostamente seduti – senza accavallare le gambe e non da sdraiati – chiudiamo gli occhi ed iniziamo a visualizzare nella nostra mente, esattamente ed in dettaglio, le azioni da svolgere per realizzare una determinata fase del nostro lavoro quotidiano. Attenzione però, non si tratta di richiamare un’azione già avvenuta, come abbiamo fatto nell’esercizio del passo precedente, bensì una nuova situazione lavorativa da compiere adesso a livello mentale.

Immaginiamo, passo per passo, ogni singolo movimento come se lo stessimo veramente svolgendo. Se sono un cuoco mi immagino, per esempio, mentre preparo sui fornelli le varie pentole, la mia postura all’interno della cucina, gli eventuali rumori e profumi, il movimento che compio per affettare le verdure, l’attenzione che devo riporre per i vari passaggi da compiere a realizzare la ricetta eccetera… il tutto seguendo esattamente gli stessi tempi necessari allo svolgimento di questa mansione.

Sinceramente: quanti secondi sono trascorsi prima che un pensiero estraneo giungesse a perturbare questa visualizzazione? Non vale barare, non siamo qui per vincere una gara, siamo qui per crescere insieme!

Passiamo ora agli esercizi consigliati per stimolare la concentrazione.

Questi semplici esercizi possono essere eseguiti in contemporanea con quelli dell’osservazione indicati nel capitolo precedente.

Il primo è un esercizio di calcolo.

A scuola abbiamo imparato a memoria le tabelline, quindi le semplici moltiplicazioni dei numeri unitari le eseguiamo in modo automatico, con logica passiva.

Questo esercizio invece, implica un grado superiore di calcolo che stimola una visualizzazione leggermente più complessa; iniziamo infatti ad effettuare mentalmente moltiplicazioni tra numeri a due cifre, come per esempio il 46 ed il 62.

Senza l’aiuto di una calcolatrice o di carta e penna ci accorgiamo che questo calcolo implica una concentrazione mentale ben differente da quella cui siamo abituati.

Il nostro cervello però riesce ad affrontare questo calcolo, anzi, farà ancora di meglio: creerà con i collegamenti neurali una specie di “programma” di elaborazione che funziona sempre più velocemente come in un computer.

Ripetiamo spesso questo tipo di calcolo mentale fino ad acquisire una certa scioltezza, nota bene che non si tratterà di calcolo automatico come per le tabelline imparate a memoria a scuola. In seguito potremo anche procedere ad esercitarci moltiplicando numeri a tre cifre, come per esempio 218 e 722.

Non lasciamoci spaventare se già l’inizio ci può risultare difficile; se ben esercitata la capacità di calcolo del nostro cervello può giungere ad elaborare operazioni anche ben più complesse.

Il successo sta nell’esercitarsi regolarmente, ma soprattutto una gran parte del segreto risiede nello scopo per cui lo stiamo facendo.

Non si tratta infatti, di prepararci ad un esame o per essere pronti a far di conto mentalmente in qualche banale situazione, stiamo imparando ad usare nel migliore dei modi l’energia che abbiamo a nostra disposizione.

Il secondo esercizio di questo passo consiste nel memorizzare un testo, per esempio una quartina di una poesia, o le prime due frasi di un testo qualsiasi.

Solitamente la memorizzazione di un testo ne implica anche una particolare comprensione, decisamente diversa da quella stimolata durante la semplice lettura.

Il nostro impegno in questa pratica fa in modo che il testo assuma connotazioni molto più reali a livello mentale. La nostra concentrazione analizza l’uso delle parole, la composizione grammaticale della frase, il significato specifico delle parole; inconsciamente rievochiamo anche in noi l’emozione che lo scrittore ha voluto esprimere.

Non si tratta più di leggere semplicemente, ma anche di capire cosa si legge, visualizzandolo e, in un certo senso, anche sentendolo a livello emozionale.

Eccoci al terzo esercizio: visualizzare ed analizzare mentalmente il viso di una persona sconosciuta che si è intravista per un brevissimo istante per strada o al bar.

Non ci limitiamo qui a visualizzarne i tratti somatici del viso, ma osiamo addentrarci a livelli superiori della semplice osservazione fotografica, cercheremo dunque di analizzarne l’espressività, di capire l’energia emanata da quella persona.

Sappiamo benissimo quanto possa essere difficile analizzare in modo corretto una persona, figuriamoci una persona intravista solamente per alcuni istanti. Ciò non toglie che al primo sguardo, inconsciamente, notiamo dettagli espressivi molto significativi che stimolano o meno la nostra energia simpatica con i nostri simili.

Oltre allo stimolo dell’attività mnemonica del nostro corpo mentale, questi esercizi toccano livelli ben precisi di concentrazione.

Il primo esercizio stimola le sinapsi del cervello, ci aiuta a focalizzare e mantenere più a lungo la nostra concentrazione attiva mentale.

Nel secondo esercizio è richiesta anche una più attenta analisi della forma espressiva di un’altra entità - in questo caso un testo - mossa da energie apparentemente separate dalle nostre.

È richiesta l’abilità di elaborare mentalmente una forma complessa, composta da linguaggio, logica ed immaginazione talora differenti dalle nostre, ponendoci in grado di entrare in un sistema emotivo differente da quello cui siamo abituati.

Ciò aiuta anche a mantenere attivo in modo consapevole un pensiero complesso e non solamente una piccola parte di esso.

Il terzo favorisce la crescita dell’intuito spontaneo che viene stimolato dall’energia emessa dall’aspetto fisico di altre entità.

A lungo andare ci si renderà conto di riuscire ad entrare meglio in sintonia con le persone con le quali abbiamo a che fare. In questo modo, difficilmente subiremo attacchi emozionali esterni e, cosa molto importante, il nostro corpo mentale sarà consapevole se permettere o meno l’accesso di forme pensiero che giungono da queste persone.

La cosciente applicazione di questi tre esercizi ci porta a far funzionare il nostro cervello in modo separato da noi stessi. È come poter osservare da un punto esterno il cervello che lavora per nostro conto.

La nostra mente diviene nel contempo il supervisore del cervello, il quale svolge automaticamente l’attività da noi desiderata.

Questa osservazione ci porta gradualmente anche ad una miglior comprensione del pensiero. Il pensiero è un’attività del corpo mentale, e la mente può funzionare indipendentemente dal cervello. È quindi possibile pensare al di fuori del cervello, molte persone sono già in grado di fare ciò senza il minimo sforzo.

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